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Agosto 1982: il massacro di Sabra e Chatila

Erano cinque anni che ero in Legione. Dei 15 giorni all’anno dei quali avrei avuto diritto per un totale di settantacinque giorni di ferie arretrate, avevo usufruito di dieci in tutto . Avanzavo sessantacinque giorni di licenza da trascorrere in territorio francese o in uno dei territori assoggettati. Eravamo alla fine di luglio, e le vacanze non mi interessavano. Ma me le assegnarono e mi stavo preparando a tornare a La Plage, vicino Marsiglia, dove avrei trovato spiaggia, mare e svago di vario genere. L’adunata, stavolta, mi colse prima che potessi organizzare qualsiasi cosa.

La missione con destinazione Beirut era denominata Italcon. La capitale del Libano, era stata invasa dai ribelli dell’OLP capeggati da Yasser Arafat. Gli israeliani li tenevano in assedio, e Arafat chiese l’intervento di una forza multinazionale per evitare violenze e spargimenti di sangue.

Il contingente della Legione arrivò, insieme all’esercito regolare francese a Beirut il 21 agosto. Insieme a italiani e americani, entrammo nel centro della città, agevolando l’uscita da Beirut delle truppe dei ribelli. La forza multinazionale aveva un mandato valido fino al 21 settembre successivo, ma il primo del mese l’evacuazione dell’OLP da Beirut era conclusa. Il 3 settembre anche la DIfesa Americana ritirò le proprie truppe. Sembrava tutto in ordine.

Il ministero della difesa francese, però, richiese che un manipolo di propri “rappresentanti in incognito” restasse sul posto per almeno un altro mese, mescolandosi alle genti del luogo. In altre parole, voleva che un gruzzolo di legionari esperti e camuffati, restasse di vedetta per osservare eventuali anomalie. Non ce ne furono poche, né per i palestinesi, né per noi legionari.

Una strada di Beirut dopo l'esplosione di un'autobomba
Una strada di Beirut dopo l’esplosione di un’autobomba

Restammo in diciotto e ci accampammo a Sabra e a Chatila dove interrammo anche due casse di armi e munizioni. A Sabra, nel sottoscala di una piccola stalla abbandonata, dove veniva sversato il letame, alloggiammo una radiotrasmittente la cui antenna a filo fu distesa e camuffata lungo il perimetro della lercia costruzione.  Organizzammo tre drappelli di sei uomini l’uno su due turni. La giornata di ventiquattro ore fu suddivisa in tre intervalli da otto ore l’uno durante i quali un drappello riposava, uno – diviso un due unità da tre uomini – faceva ronda ed un altro svolgeva mansioni logistiche come il procurare cibo ed acqua e verificare che i due depositi di armi fossero in sicurezza. Al termine del periodo di otto ore, il drappello in ronda passava al riposo, quello a riposo passava alla logistica e quello logistico andava di ronda. Stabilimmo che i turni fossero dalle 0:00 alle 8:00, dalle 8:00 alle 16:00 e dalle 16:00 alle 24:00. Al cambio di turno della mezzanotte svolgevamo una piccola riunione organizzativa, poi trascorrevamo le ore di veglia cercando di dare nell’occhio il meno possibile.

Andammo avanti così per due settimane, durante le quali non successe niente di particolare e, anzi, stimavamo ormai di riprendere la strada di casa senza aver compiuto una sola azione militare, se si eccettuava per la quotidiana trasmissione telegrafica di un breve notiziario cifrato. Alle 17:00 del 16 settembre, però, quella situazione di pace apparente cambiò radicalmente.

Il mio drappello ed io eravamo a prendere acqua e vettovaglie in un mercatino improvvisato appena fuori Sabra. Notammo una gran nuvola di polvere ed un crepitio piuttosto familiare, attutito dalla sabbia e dalla distanza. Erano raffiche di IMI UZI, la pistola mitragliatrice da 600 colpi al minuto e di IMI Galil, il fucile mitragliatore da 750 colpi al minuto. Un esercito di cristiani maroniti, con il probabile appoggio degli israeliani, stava massacrando gli abitanti di Sabra e Chatila. Molti di essi, vecchi, donne e bambini compresi venivano sgozzati, sventrati e smembrati a colpi di sciabola e di coltello. Quelli più fortunati prendevano una raffica di UZI nella schiena.

Ci dividemmo in due gruppi: uno, il mio, andò verso Sabra, dove riposavano tre commilitoni ed uno verso Chatila dove riposavano gli altri tre. Cercando di non dare nell’occhio in quel baccano infernale, mi avvicinavo a grandi passi alla stalla della radio. Prima di infilarmi in quella topaia, vidi i commilitoni di quardia cadere sotto le raffiche: avevano dissotterrato le armi e cercavano di rispondere al fuoco.

Con la mente che cercava di formulare il messaggio da inviare mi precipitai alla radio, la accesi e, noncurante del fatto che avrei potuto essere intercettato e localizzato, diedi allo stadio finale la massima potenza, poi telegrafai per due volte: Village attaqué. Beaucoup de morts parmi les civils, femmes et enfants aussi. Six légionnaires morts. Il terzo tentativo non mi riuscì: fui raggiunto alla testa da un colpo che mi tramortì. Il risveglio non fu dei migliori.