
Vengono circondati da uomini e donne in camice bianco dall’aspetto nordeuropeo e spostati “sotto” la casa, dove i palestinesi, durante l’occupazione pacifica di Beirut, avevano scavato chilometri di gallerie, attrezzandole di ogni cosa, creando una “città sotto la città”.
Dispense alimentari, depositi di armi, ampie sale per l’esercitazione al tiro, rifugi blindati e attrezzatissime e fornitissime infermerie. E è proprio in una di queste che i due legionari, bruciati dal sole e dal fuoco, vengono trasportati. Non è un’infermeria da campo o qualcosa di rimediato alla bell’e meglio. È una sorta di piccolo ospedale, con una moderna attrezzatura per condurre operazioni chirurgiche, compresi gli strumenti per la rianimazione e l’anestesia generale. Chi ha attrezzato quel luogo, lo ha fatto in previsione di una guerra dura e difficile.
Il legionario rivede la vecchia con il turbante di stracci, che gli sorride e gli fa un gesto con la mano come per dirgli “Vieni con me”. Lui prova a muoversi, ma le forze gli mancano ed ha male dappertutto. Si gira dall’altro lato, cercando di scacciare quell’invito che non riesce ad accettare e si ritrova con il viso contro il viso di un’altra vecchia, anch’essa vestita di bianco, che rotea gli occhi tutt’intorno e muove le labbra senza emettere alcun suono. Indossa un alto diadema e dalla cintura in vita le penzola un mazzo di grosse chiavi. Non è spaventato da questa presenza, ma non si spiega perché non indossi abiti medici e si domanda come mai ci sia personale così anziano là. Poi la seconda vecchia si allontana appena la porta viene spalancata fragorosamente da una terza donna, giovane e bellissima, dai lunghi capelli biondi, fasciata in un tubino nero cosparso di paillettes. Ha la bocca color rosso fuoco e il suo sguardo intenso, una volta varcata la porta che ha aperto così violentemente, diventa dolce e sferzante al contempo. Ha le braccia tese e anche stavolta il legionario cerca di raccogliere le forze per alzarsi e correre da lei, ma le membra non gli rispondono, vorrebbe alzarsi, muovere le gambe ma non ci riesce in alcun modo. Poi una fiammata lungo il braccio lo richiama alla realtà.
Un dolore che sembra fatto di fuoco percorre le sue vene fino a raggiungere la sua testa e da lì esplode in tutto il corpo, ma proprio quando sembra che la fiammata stia per estinguersi, una morsa d’acciaio gli stringe il torace e un fremito gli scuote le membra. Una breve pausa e la morsa torna a serrarlo nuovamente per poi lasciarlo esanime e senza respiro. L’uomo apre gli occhi e si trova al centro di un gruppo di persone con il camice. Una di quelle persone, una donna, lo guarda con sguardo apprensivo e spaventato, poi accenna un timido sorriso, come rasserenata e ripone su un tavolino lì accanto, due oggetti attaccati a due lunghi fili.
Sembrano due piccoli ferri da stiro.